Grem Records è una costola della ben più nota squadra di Ultimate Frisbee, i viola Gremlins – noti soprattutto nel sottobosco del panorama frisbeestico italiano, e poco apprezzati anche lì.
Dopo la folgorazione di mettere in musica gli schemi di gioco per aiutare i compagni più incapaci, l'arte ha preso il sopravvento e l'esigenza sportiva si è trasformata in qualcosa di più grande. Raccontiamo il nostro mondo a tinte violacee e cantiamo la nostra epoca spaziando di genere in genere, perché non siamo musicisti veri ma almeno siamo poliedrici e poliglotti.
Più che una canzone, questo è un manifesto programmatico del disfattismo atletico, una ballad struggente che narra le gesta di guerrieri vestiti di un viola imperiale ma dotati della capacità polmonare di un posacenere. È l'inno ufficiale di chi scende in campo già sapendo che il vero obiettivo non è la meta avversaria, bensì il bancone del baretto. Il testo ci dipinge un affresco tattico desolante: difese sul lato sbagliato, layout inesistenti e quei famosi "spari" che sembrano perfetti appena escono di mano, ma che sono destinati inesorabilmente a cadere nel vuoto insieme alle speranze di vittoria. Una squadra dedicata ai "Maestri di Sbrago"

Un’elegia crepuscolare dedicata all'accanimento terapeutico, una melodia che risuona al ritmo non di tacchetti che battono sul terreno, ma di costosi referti di risonanze magnetiche sventolati come bandiere di guerra. Questo brano cattura l'essenza di chi affronta lo sport con la consapevolezza che correre non è solo faticoso, ma è un vero e proprio "crimine" morale, un insulto alla dignità di chi preferisce contemplare il cielo (o il fondo di un Gin Tonic) piuttosto che marcare a uomo. Tra le righe si legge il dramma esistenziale di chi, guardando i giovani della prima squadra volare, sogna non la gloria, ma un upgrade cibernetico, un cuore d'acciaio stile Iron Man per sostituire quello biologico ormai stanco. Il tutto culmina nel pellegrinaggio finale verso le paludi di Padova, dove la vera sfida non sono gli avversari, ma zanzare geneticamente modificate che prendono la rincorsa per nutrirsi di quel poco sangue rimasto in circolo.

Un capolavoro straziante, un pezzo neomelodico-apocalittico che gronda pathos, devozione e sugo di pomodoro. Tutto nasce da quel momento storico, realmente documentato, in cui l'apostolo Alessà gridò in faccia al Pontefice la frase che cambiò il destino della cristianità: "Saluta i Grem Papa". La canzone è ambientata durante il Conclave del futuro: i fedeli attendono in Piazza San Pietro, ma dal comignolo non esce né fumo bianco né nero. La fumata è inequivocabilmente Viola. Il testo dipinge un affresco vaticano nel caos più totale: San Pietro inciampa nel provolone, Padre Guglio benedice la folla con un fiatella alla cipolla capace di convertire i peccatori, e Cinghia il Barbuto osserva la scena con lo sguardo criminale di chi sta per scatenare l'inferno. È l'inno della fine dei tempi, una profezia in dialetto che ci ricorda che quando il mondo crollerà, non sentiremo le trombe dell'Apocalisse, ma solo un accorato grido napoletano che ci invita a salutare la squadra un'ultima volta.

Abbassate i finestrini e alzate i bassi, perché si entra nella Dancehall della tattica difensiva. Questo pezzo Reggae è un tutorial ballabile che spiega, passo dopo passo, l'unica "Junk Defence" che i Gremlins eseguono a memoria da oltre dieci anni, un reperto archeologico che continua inspiegabilmente a funzionare. Il testo celebra un meraviglioso incidente glottologico: l'americano "Nuts" (dadi), tradotto maldestramente dai pionieri italiani in "Nocciolina", piazzando così un piccolo legume a fare da muro invalicabile al centro del campo. Tra Cacciaviti che serrano i lati e un Trapano che perfora le speranze avversarie, la canzone trasforma il campo in un cantiere edile impenetrabile, dove l'attacco si schianta contro una prima coppa solida come il ritmo in levare di una sound system giamaicana. Jah bless the zone.
